Con la definizione di Alternative food
Networks (Reti agroalimentari alternative di consumo di cibo), affermati in
Italia così come all’estero, ci si riferisce ad un eterogeneo universo di
pratiche e realtà la cui sistematizzazione risulta assai ardua a causa del loro
carattere pulviscolare e dell’estremo dinamismo che favorisce la nascita e la scomparsa
di gruppi e sensibilità in un arco temporale anche molto ristretto. Non a caso
gli AFNs sono al centro di un vivo dibattito internazionale (Sonnino, Mardsen,
2006, Treagar, 2011) che ha messo in evidenza, da un lato, il grande interesse
per il rinnovamento del settore rurale e, dall’altro, il dinamismo e, talvolta,
l’ambiguità di modelli ed esperienze (Dansero, De Luca, Puttilli, 2012).
Goodman D. e Goodman M.K. (2007) hanno
utilizzato questa espressione per definire la nascita di forme di vendita che
favoriscono pratiche produttive sostenibili, prediligendo una distanza minore
tra produzione e consumo, tra produttori e consumatori, l’attenzione ai metodi
di produzione e la creazione di nuovi luoghi di vendita.
Nella molteplicità delle esperienze, la cui
espressione è fortemente condizionata dal contesto in cui nascono e si
sviluppano, gli AFNs emergono come una nicchia di qualità.
L'elemento comune a tali pratiche, infatti, è rappresentato dalla svolta della qualità,
sia da parte dei produttori, sia da parte dei consumatori. La qualità emerge
come un prodotto sociale multidimensionale che si compone di parti diverse,
esito della negoziazione tra produttori e consumatori, volta all’attribuire al
cibo un diverso significato che va ben al di là di un qualsiasi bene di
consumo. È possibile distinguere tra diverse componenti:
- Funzionali con riferimento alla
salubrità, al gusto, alla freschezza e alla stagionalità del prodotto;
- Ambientali con riferimento alla
distanza percorsa, alla riduzione degli imballaggi, alla conservazione delle
risorse naturali coinvolte e della preservazione della biodiversità;
- Territoriali con riferimento alla
capacità del prodotto di riprodurre la diversità del territorio di
appartenenza;
- Culturali con riferimento alla
ricchezza della cultura alimentare, dell’identità legata ai territori di
appartenenza;
- Etiche con riferimento alla
responsabilità, al rispetto, alla solidarietà e all’equità in tutti i passaggi
della filiera;
- Politiche con riferimento alla
potenzialità dei cambiamenti dei rapporti di forza nella filiera, alla
possibilità di un ri-orientamento dei modelli di produzione-consumo.
Dalla condivisione di tale significato così
composto, deriva un diverso modo attraverso cui gestire i vari momenti che
ruotano attorno alla produzione e al consumo di alimenti: la ricerca della qualità
dei produttori da parte dei consumatori, e, per contro, l'intercettazione dei
gusti e dei bisogni dei consumatori da parte dei produttori, attraverso la
condivisione e la conoscenza delle tecniche utilizzate nei processi produttivi,
le modalità di interazione tra i soggetti coinvolti così come la possibile creazione
di forme di integrazione sul territorio.
Un ulteriore fonte di riconoscimento dei vari
AFNs, soprattutto dei primi in ordine temporale, è la contestazione del modello
di agricoltura industriale dominante fondato sulla GDO, considerato iniquo per
i piccoli produttori e generatore di danni per la salute dell’uomo e
dell’ambiente. Per contro, i vari AFNs si fanno portatori di modelli economici
e sociali alternativi fondati sui concetti di decrescita e di economia solidale
(Dansero, De Luca, Puttilli, 2012).
Le prime esperienze di AFNs, infatti, nascono
in contrapposizione al modello dominante dell’agroindustria e della grande
distribuzione e assumono un carattere fortemente critico e di resistenza.
Si pensi al movimento locavores, nato a
San Francisco negli Stati Uniti nel 2005 ad opera di quattro donne che, per
promuovere una cultura alimentare alternativa, hanno proposto ai residenti
locali di mangiare solo cibi coltivati o prodotti in un raggio di 100 miglia.
Il decalogo del movimento, il cui credo è solo prodotti locali poiché più sani,
freschi, nutrienti, gustosi e che aiutano l’economia locale, prevede una rigida
gerarchia di preferenze. In alternativa ai prodotti locali seguono: prodotti biologici,
prodotti delle aziende agricole familiari, prodotti dei punti vendita locali e
i prodotti tipici. Il movimento ha avuto un tal successo che nel 2007 la parola
locavore è stata giudicata parola dell’anno dall’Oxford American
Dictionary.
Nel corso del tempo tale caratteristica
radicale e di contestazione è rimasta vincolata solo ad alcune esperienze. Accanto
a queste ultime, hanno preso piede iniziative che hanno manifestato un
carattere commerciale, strutturato al punto da fondersi con la grande distribuzione
organizzata, che ne ha decretato un successo nazionale e internazionale.
Si fa riferimento al fenomeno del biologico,
fondato su pratiche che sono volte a minimizzare l’impatto dell’uomo
sull’ambiente e, a permettere al sistema agricolo di operare nel modo più naturale
possibile. La domanda di tali prodotti ha avuto nell’ultimo decennio momenti di
forte espansione, tanto che numerose catene della grande distribuzione hanno
incorporato il biologico all’interno della loro offerta alimentare.
Ulteriore esempio può essere rappresentato dal
movimento Slow Food, nato a Bra in Piemonte nel 1986 per promuovere la
riscoperta del valore del cibo come portatore di tradizioni, identità e uno
stile di vita oltre che alimentare, rispettoso dei territori e delle tradizioni
locali. Attualmente l'associazione conta più di 100.000 iscritti, volontari e sostenitori
in 130 paesi, 1500 sedi locali e una rete di 2000 comunità che praticano una produzione
di cibo su piccola scala, sostenibile, di qualità, assumendo le vesti di una multinazionale.
La complessità di categorizzare gli AFNs
risiede proprio nella continua sovrapposizione di livelli, scale e molteplicità
di esperienze talvolta in apparente contraddizione tra loro.
Grande distribuzione e piccola distribuzione organizzata
tendono sempre di più ad accavallarsi e ad essere vicine (Marsden et al., 2000;
Sonnino e Marsden, 2006).
Non sempre gli AFNs rappresentano un modello,
se di modello si può parlare, sostenibile ed efficace così come le filiere
lunghe non necessariamente rappresentano una realtà che produce un disvalore
per il territorio.
Elemento che contraddistingue sia la tendenza
commerciale, sia quella radicale è comunque la ricerca della qualità e della
sicurezza alimentare che spinge il consumatore e il produttore ad orientarsi o
a partecipare in maniera più o meno attiva ad un AFN.
Un esempio chiarificatore in questo caso può
essere il supermercato Eataly. Nato a Torino nel 2007, in collaborazione
con Slow food, che funge da suo “consulente strategico”, Eataly propone
ai consumatori prodotti tipici e di qualità attraverso la distribuzione e la
ristorazione. L'obiettivo è quello di incrementare la percentuale di coloro i
quali si alimentano con consapevolezza scegliendo prodotti di prima qualità e dedicando
un'attenzione particolare alla provenienza e alla lavorazione delle materie prime.
Tutto ciò sotto le spoglie di un supermercato. Il suo successo, sia nazionale
che
internazionale, è stato decretato dall'apertura
di nuovi punti vendita in Italia ma anche negli Stati Uniti e in Giappone.
Un'altra realtà “innovativa” è quella della
rete in franchising del Negozio Leggero. Nasce nel 2009 dall'esperienza
dell'ente di ricerca Ecologos e del lavoro di Rinova s.c. per proporre al
mercato un “nuovo” modo di fare la spesa; leggero e senza imballaggi. Con sei
punti vendita in Piemonte, uno a Milano e uno a Roma, il Negozio Leggero è un
negozio a forte impatto estetico, all'interno del quale si trovano più di 900 prodotti
in modalità sfusa, venduti al peso e, ad un costo competitivo, grazie alla riduzione
dell'imballaggio. Questo, infatti, influisce molto sul costo finale del
prodotto, sia per il materiale, sia per la parte grafica e creativa. Il
risparmio sui prodotti offerti dal negozio varia dal 30% al 60% a seconda del
prodotto e, nel caso particolare delle spezie, è molto superiore: quelle
attualmente acquistate nei supermercati convenzionali, infatti, sono proposte
in un contenitore di vetro il cui valore a volte è più alto di quello del contenuto.
Tra i principi ispiratori del progetto, oltre alla qualità, dato che i prodotti
in vendita spaziano dal biologico al locale (tranne per quei prodotti non
reperibili nel territorio regionale), anche l'aspetto della socializzazione
assume un ruolo chiave. Si manifesta sia nel contatto con i clienti, basato
sulla fiducia e sulla competenza che i commessi hanno nel fornire informazioni
dettagliate sui prodotti ma anche nelle osservazioni, consigli e bisogni
manifestati dai consumatori, sia nella promozione di iniziative ed incontri
nella sede del negozio volti a pubblicizzare e condividere pratiche di consumo
critico.
La realtà degli Alternative food Networks è
diventata sempre più comune nelle esperienze di produzione e consumo tanto che
c'è chi, come Sonnino e Marsden (2006), sostiene che tale tendenza sia sempre
meno un'alternativa alla GDO, quanto piuttosto una parte di essa basata però su
un'attenzione particolare all'intercettazione dei gusti e dei bisogni dei
consumatori, della loro ricerca di qualità e sicurezza alimentare.
Complimenti per l'articolo!
RispondiEliminaGrazie. metterò poi parte della bibliografia che ho utilizzato così se qualcuno è interessato ad approfondire ha tutti gli strumenti per farlo. Gaia
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