lunedì 29 aprile 2013

Reti agroalimentari alternative di consumo di cibo nella letteratura scientifica

di Gaia Matteucci, umbra, laureata in Scienze Internazionali all'Università di Torino con una tesi sul Km zero.

Con la definizione di Alternative food Networks (Reti agroalimentari alternative di consumo di cibo), affermati in Italia così come all’estero, ci si riferisce ad un eterogeneo universo di pratiche e realtà la cui sistematizzazione risulta assai ardua a causa del loro carattere pulviscolare e dell’estremo dinamismo che favorisce la nascita e la scomparsa di gruppi e sensibilità in un arco temporale anche molto ristretto. Non a caso gli AFNs sono al centro di un vivo dibattito internazionale (Sonnino, Mardsen, 2006, Treagar, 2011) che ha messo in evidenza, da un lato, il grande interesse per il rinnovamento del settore rurale e, dall’altro, il dinamismo e, talvolta, l’ambiguità di modelli ed esperienze (Dansero, De Luca, Puttilli, 2012).


Goodman D. e Goodman M.K. (2007) hanno utilizzato questa espressione per definire la nascita di forme di vendita che favoriscono pratiche produttive sostenibili, prediligendo una distanza minore tra produzione e consumo, tra produttori e consumatori, l’attenzione ai metodi di produzione e la creazione di nuovi luoghi di vendita.
Nella molteplicità delle esperienze, la cui espressione è fortemente condizionata dal contesto in cui nascono e si sviluppano, gli AFNs emergono come una nicchia di qualità. L'elemento comune a tali pratiche, infatti, è rappresentato dalla svolta della qualità, sia da parte dei produttori, sia da parte dei consumatori. La qualità emerge come un prodotto sociale multidimensionale che si compone di parti diverse, esito della negoziazione tra produttori e consumatori, volta all’attribuire al cibo un diverso significato che va ben al di là di un qualsiasi bene di consumo. È possibile distinguere tra diverse componenti:

- Funzionali con riferimento alla salubrità, al gusto, alla freschezza e alla stagionalità del prodotto;

- Ambientali con riferimento alla distanza percorsa, alla riduzione degli imballaggi, alla conservazione delle risorse naturali coinvolte e della preservazione della biodiversità;

- Territoriali con riferimento alla capacità del prodotto di riprodurre la diversità del territorio di appartenenza;

- Culturali con riferimento alla ricchezza della cultura alimentare, dell’identità legata ai territori di appartenenza;

- Etiche con riferimento alla responsabilità, al rispetto, alla solidarietà e all’equità in tutti i passaggi della filiera;

- Politiche con riferimento alla potenzialità dei cambiamenti dei rapporti di forza nella filiera, alla possibilità di un ri-orientamento dei modelli di produzione-consumo.

Dalla condivisione di tale significato così composto, deriva un diverso modo attraverso cui gestire i vari momenti che ruotano attorno alla produzione e al consumo di alimenti: la ricerca della qualità dei produttori da parte dei consumatori, e, per contro, l'intercettazione dei gusti e dei bisogni dei consumatori da parte dei produttori, attraverso la condivisione e la conoscenza delle tecniche utilizzate nei processi produttivi, le modalità di interazione tra i soggetti coinvolti così come la possibile creazione di forme di integrazione sul territorio.
Un ulteriore fonte di riconoscimento dei vari AFNs, soprattutto dei primi in ordine temporale, è la contestazione del modello di agricoltura industriale dominante fondato sulla GDO, considerato iniquo per i piccoli produttori e generatore di danni per la salute dell’uomo e dell’ambiente. Per contro, i vari AFNs si fanno portatori di modelli economici e sociali alternativi fondati sui concetti di decrescita e di economia solidale (Dansero, De Luca, Puttilli, 2012).
Le prime esperienze di AFNs, infatti, nascono in contrapposizione al modello dominante dell’agroindustria e della grande distribuzione e assumono un carattere fortemente critico e di resistenza.
Si pensi al movimento locavores, nato a San Francisco negli Stati Uniti nel 2005 ad opera di quattro donne che, per promuovere una cultura alimentare alternativa, hanno proposto ai residenti locali di mangiare solo cibi coltivati o prodotti in un raggio di 100 miglia. Il decalogo del movimento, il cui credo è solo prodotti locali poiché più sani, freschi, nutrienti, gustosi e che aiutano l’economia locale, prevede una rigida gerarchia di preferenze. In alternativa ai prodotti locali seguono: prodotti biologici, prodotti delle aziende agricole familiari, prodotti dei punti vendita locali e i prodotti tipici. Il movimento ha avuto un tal successo che nel 2007 la parola locavore è stata giudicata parola dell’anno dall’Oxford American Dictionary.
Nel corso del tempo tale caratteristica radicale e di contestazione è rimasta vincolata solo ad alcune esperienze. Accanto a queste ultime, hanno preso piede iniziative che hanno manifestato un carattere commerciale, strutturato al punto da fondersi con la grande distribuzione organizzata, che ne ha decretato un successo nazionale e internazionale.
Si fa riferimento al fenomeno del biologico, fondato su pratiche che sono volte a minimizzare l’impatto dell’uomo sull’ambiente e, a permettere al sistema agricolo di operare nel modo più naturale possibile. La domanda di tali prodotti ha avuto nell’ultimo decennio momenti di forte espansione, tanto che numerose catene della grande distribuzione hanno incorporato il biologico all’interno della loro offerta alimentare.
Ulteriore esempio può essere rappresentato dal movimento Slow Food, nato a Bra in Piemonte nel 1986 per promuovere la riscoperta del valore del cibo come portatore di tradizioni, identità e uno stile di vita oltre che alimentare, rispettoso dei territori e delle tradizioni locali. Attualmente l'associazione conta più di 100.000 iscritti, volontari e sostenitori in 130 paesi, 1500 sedi locali e una rete di 2000 comunità che praticano una produzione di cibo su piccola scala, sostenibile, di qualità, assumendo le vesti di una multinazionale.
La complessità di categorizzare gli AFNs risiede proprio nella continua sovrapposizione di livelli, scale e molteplicità di esperienze talvolta in apparente contraddizione tra loro.
Grande distribuzione e piccola distribuzione organizzata tendono sempre di più ad accavallarsi e ad essere vicine (Marsden et al., 2000; Sonnino e Marsden, 2006).
Non sempre gli AFNs rappresentano un modello, se di modello si può parlare, sostenibile ed efficace così come le filiere lunghe non necessariamente rappresentano una realtà che produce un disvalore per il territorio.
Elemento che contraddistingue sia la tendenza commerciale, sia quella radicale è comunque la ricerca della qualità e della sicurezza alimentare che spinge il consumatore e il produttore ad orientarsi o a partecipare in maniera più o meno attiva ad un AFN.
Un esempio chiarificatore in questo caso può essere il supermercato Eataly. Nato a Torino nel 2007, in collaborazione con Slow food, che funge da suo “consulente strategico”, Eataly propone ai consumatori prodotti tipici e di qualità attraverso la distribuzione e la ristorazione. L'obiettivo è quello di incrementare la percentuale di coloro i quali si alimentano con consapevolezza scegliendo prodotti di prima qualità e dedicando un'attenzione particolare alla provenienza e alla lavorazione delle materie prime. Tutto ciò sotto le spoglie di un supermercato. Il suo successo, sia nazionale che
internazionale, è stato decretato dall'apertura di nuovi punti vendita in Italia ma anche negli Stati Uniti e in Giappone.
Un'altra realtà “innovativa” è quella della rete in franchising del Negozio Leggero. Nasce nel 2009 dall'esperienza dell'ente di ricerca Ecologos e del lavoro di Rinova s.c. per proporre al mercato un “nuovo” modo di fare la spesa; leggero e senza imballaggi. Con sei punti vendita in Piemonte, uno a Milano e uno a Roma, il Negozio Leggero è un negozio a forte impatto estetico, all'interno del quale si trovano più di 900 prodotti in modalità sfusa, venduti al peso e, ad un costo competitivo, grazie alla riduzione dell'imballaggio. Questo, infatti, influisce molto sul costo finale del prodotto, sia per il materiale, sia per la parte grafica e creativa. Il risparmio sui prodotti offerti dal negozio varia dal 30% al 60% a seconda del prodotto e, nel caso particolare delle spezie, è molto superiore: quelle attualmente acquistate nei supermercati convenzionali, infatti, sono proposte in un contenitore di vetro il cui valore a volte è più alto di quello del contenuto. Tra i principi ispiratori del progetto, oltre alla qualità, dato che i prodotti in vendita spaziano dal biologico al locale (tranne per quei prodotti non reperibili nel territorio regionale), anche l'aspetto della socializzazione assume un ruolo chiave. Si manifesta sia nel contatto con i clienti, basato sulla fiducia e sulla competenza che i commessi hanno nel fornire informazioni dettagliate sui prodotti ma anche nelle osservazioni, consigli e bisogni manifestati dai consumatori, sia nella promozione di iniziative ed incontri nella sede del negozio volti a pubblicizzare e condividere pratiche di consumo critico.
La realtà degli Alternative food Networks è diventata sempre più comune nelle esperienze di produzione e consumo tanto che c'è chi, come Sonnino e Marsden (2006), sostiene che tale tendenza sia sempre meno un'alternativa alla GDO, quanto piuttosto una parte di essa basata però su un'attenzione particolare all'intercettazione dei gusti e dei bisogni dei consumatori, della loro ricerca di qualità e sicurezza alimentare.

2 commenti:

  1. Complimenti per l'articolo!

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  2. Grazie. metterò poi parte della bibliografia che ho utilizzato così se qualcuno è interessato ad approfondire ha tutti gli strumenti per farlo. Gaia

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